Alla ricerca del Bauhaus

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Alla fine degli anni 50 circolava in casa la rivista bimestrale “sele ARTE”, letta sia da mio padre che da mio fratello Nino. In quella rivista, diretta da Carlo Ludovico Ragghianti, venivano riportate spesso citazioni e notizie del Bauhaus, celebre scuola tedesca diretta da Walter Gropius . Anche la mia frequentazione dell’Istituto d’Arte di Macerata negli stessi anni mi consentiva, attraverso il suo direttore Renzo Ghiozzi (in arte Zoren), di captare informazioni sui protagonisti del movimento creatosi in Germania.

Nel 1960, raggiunta la maturità nella sezione Pittura Decorativa, si faceva strada in me l’interesse per una scuola di perfezionamento che ricalcasse i principi e i metodi del Bauhaus. Nel frattempo avevo ricevuto da mio padre due splendidi regali: il catalogo della mostra “Documenta II” di Kassel del 1959, con la presenza degli artisti insegnanti nella scuola tedesca, e il prestigioso volume “Teoria della forma e della figurazione” di Paul Klee, diventato per me un “totem”, ambedue validi supporti per un progetto di completamento della mia formazione e di una scelta di vita. In quell’anno iniziai anche un percorso di conoscenza delle scuole italiane che contenessero i requisiti praticati dal celebre movimento artistico. La ricerca riguardava scuole italiane perché in Germania non erano più praticati questi insegnamenti nei luoghi storici originari. La nazione, dopo la Seconda Guerra Mondiale, era divisa in due: una parte legata al blocco occidentale e l’altra al blocco sovietico. I luoghi del movimento artistico erano: Weimar, nella parte occidentale, non aveva più una sede, mentre a Dessau, nella parte orientale, erano, fortunosamente, rimasti in piedi solo gli edifici, e Berlino, inaccessibile, perché divisa militarmente in zone di influenza.

Concentrai l’attenzione sulla Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria di Milano, dove le specializzazioni ricalcavano quelle di un’Accademia di Belle Arti di quel tempo. Presi anche in considerazione l’Istituto Scuola Italiana per la pubblicità, sempre di Milano, che era però finalizzata esclusivamente alla grafica pubblicitaria e a formare copywriter. È a Novara che incontrai per la prima volta il termine “design” con il suo significato corrente, nel Centro Studi Arte Industria con annessi “Corsi per designers, autorizzati”. Si, i designer riportavano la “s” del plurale inglese, e il termine “autorizzati” faceva pensare che occorresse una specie di patente. La scuola era presentata attraverso un volumetto del suo direttore, Di Salvatore, dal titolo “Rapporti Arte Industria” con una prefazione di Giò Ponti. Nonostante l’impegno dei coordinatori mi dava comunque l’impressione di un ambiente troppo legato alla vita provinciale. In quei giorni la visita alla 12a Triennale di Milano mi offriva più giusti termini di riferimento.

Solo all’inizio del 1961 venni a conoscenza dell’apertura da parte del Ministero della Pubblica Istruzione del Corso Superiore di Disegno Industriale a Venezia. Il Corso preparatorio era diretto da Carlo Scarpa, il corso di cultura da E. N. Rogers, il corso di scienze da G. Ciribini; i laboratori e i corsi facoltativi davano la sicurezza di una giusta scelta. Qui non mi dilungherò a raccontare la storia dei primi anni di questa scuola sperimentale che via via si arricchiva dei più autorevoli rappresentanti del design italiano. Basterà affermare che vi venivano introdotti i principi e i metodi del Bauhaus. Un contatto indiretto con quel movimento era rappresentato da un mio compagno di corso che aveva frequentato personalmente le lezioni di Mies van der Rohe all’MIT di Chicago. Anche la presenza di studenti stranieri provenienti dal Messico, dal Brasile, dalla Grecia, dava il senso dell’interesse manifestato a livello internazionale. Per il Corso di Storia della Civiltà, tenuto da Silvano Tintori, svolsi una ricerca sul Bauhaus che comprendeva anche i rapporti delle avanguardie artistiche italiane con quel movimento. Forte dell’amicizia della mia famiglia con Ivo Pannaggi, e di quella mia personale con Umberto Peschi e Wladimiro Tulli, che mi fornirono i giusti indirizzi, ottenni dichiarazioni dallo stesso Pannaggi sulla sede di Berlino e dal figlio di Enrico Prampolini Alessandro sulla sede di Weimar.

La Hochschule fur Gestaltung Ulm, 1963, ph. Luigi Ricci

Venezia dava più occasioni di conoscenze internazionali e così ebbi l’opportunità di trovare un collegamento con la “Hochschule fur Gestaltung Ulm” che, da pochi anni in Baviera, era sorta come “continuità ideale” del Bauhaus. Fondata da Max Bill e diretta da Tomas Maldonado, la scuola, grazie al noto pragmatismo tedesco, era fortemente impegnata alla progettazione nel settore elettromeccanico. Visitai la scuola, efficiente e super-organizzata come spazi e accoglienza, ma ebbi l’impressione che l’esperienza didattica fosse fortemente settoriale e condizionata dalle imprese. Queste conclusioni erano di due lustri fa’, in un periodo che la società italiana, spinta dal “miracolo economico” dava la possibilità ai giovani di sognare programmi che sconfinavano nell’utopia ma che ponevano un rinnovamento della società in forme più giuste e libere.

La Hochschule fur Gestaltung Ulm, 1963, ph. Luigi Ricci